Onorevoli Colleghi! - Negli ultimi anni le tutele in favore dei disabili hanno trovato nel nostro ordinamento importanti riconoscimenti, in aderenza al principio affermato dall'articolo 3 della Costituzione, il quale recita che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (...). È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (...)».
      La disciplina dettata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l'assistenza, l'interazione sociale e i diritti delle persone handicappate), ha rappresentato una tappa fondamentale nell'affermazione e nella realizzazione del pieno rispetto della dignità e dei diritti di libertà e di autonomia del disabile nella società. Promuovendo la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società, la legge-quadro ha predisposto per la prima volta interventi organici volti a superare situazioni di svantaggio, di emarginazione e di esclusione sociale della persona diversamente abile. Fino a quella data erano state, infatti, introdotte nel nostro ordinamento solo misure e agevolazioni di natura frammentaria.
      L'intervento riformatore in materia, ispirato al principio della finalizzazione della massima inclusione sociale e della piena integrazione nel lavoro e nella società, mira a consentire ai soggetti disabili la possibilità di condurre una vita produttiva e, mediante la contribuzione fiscale e previdenziale, di raggiungere una dignitosa

 

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indipendenza economica; la disciplina vigente è caratterizzata, dunque, dal superamento di interventi improntati al mero assistenzialismo. Contemporaneamente, il riconoscimento dell'handicap in situazione di gravità giustifica la previsione di interventi assistenziali mirati, permanenti, continuati e globali, diretti ai disabili e ai loro familiari più stretti, in considerazione della condizione di estrema serietà della stessa disabilità. Non vi è dubbio, infatti, che quando si versi in una condizione di minorazione fisica - anche di tipo progressivo - che conduce alla disabilità pressoché totale di un soggetto, tale da comprometterne l'autonomia lavorativa e relazionale, si renda necessaria la predisposizione di agevolazioni nei confronti dei familiari che si dedicano a tempo pieno all'assistenza e alla cura dei propri congiunti.
      L'attestato di handicap grave è uno dei requisiti per godere di alcuni benefìci tributari e fiscali e costituisce requisito indispensabile per accedere alla fruizione delle agevolazioni previste sia dall'articolo 33 della legge n. 104 del 1992, sia dall'articolo 33 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, sia dall'articolo 80, comma 2, della legge n. 388 del 2000 (finanziaria 2001), che ha introdotto il comma 4-bis dell'articolo 4 della legge n. 53 del 2000 (cosiddetta «legge sui congedi parentali»).
      Tra le agevolazioni previste dal complesso di tali norme si ricordano il prolungamento dell'astensione facoltativa dal lavoro fino al terzo anno di età del bambino o, in alternativa, due ore di permesso giornaliero; i permessi per il lavoratore disabile, per il genitore, il coniuge o il familiare che assista un disabile in condizione di gravità; il trasferimento di sede o la scelta della sede di lavoro più vicina all'abitazione per il genitore, il coniuge o il familiare che assiste un disabile grave; il congedo straordinario retribuito di due anni per i genitori, anche adottivi, di disabili gravi o per i fratelli o le sorelle, in caso di assenza o di impossibilità dei genitori.
      Se dal quadro normativo vigente risulta un percorso evolutivo importante, contrassegnato dal rafforzamento, negli ultimi anni, di misure che favoriscono l'assistenza dei disabili gravi, tuttavia emerge con evidenza una importante lacuna.
      L'istituzione di un congedo retribuito di due anni per gravi motivi familiari e valido ai fini pensionistici è stato introdotto (con la citata legge n. 388 del 2000) solo in previsione di una necessaria assistenza a un figlio gravemente disabile e, quindi, in sostegno della maternità e della paternità (solo in caso di assenza o di impossibilità dei genitori possono fruire delle agevolazioni i fratelli o le sorelle conviventi).
      Lo stesso beneficio non viene invece accordato in favore del coniuge o dei figli, mentre sono spesso proprio tali soggetti a doversi prendere cura in modo esclusivo e permanente dei propri cari, in situazioni di notevoli difficoltà, di importanti rinunce e, in alcuni casi, di estrema solitudine.
      Non aver ricompreso nella legislazione vigente anche la figura del coniuge o del figlio convivente, tra la platea dei beneficiari delle agevolazioni in tema di assistenza nei casi di disabilità grave, appare non solo una importante dimenticanza del legislatore, ma una lacuna che rischia di prefigurare una situazione di palese disparità di trattamento tra giovani e adulti, ugualmente disabili. L'adulto in condizione di grave disabilità, peraltro, a differenza dei bambini gravemente disabili, non ha luoghi sociali, quali la scuola, dove poter trascorrere del tempo in modo assistito e ciò comporta una maggiore e necessaria assistenza continuativa giornaliera.
      La presente proposta di legge ha l'intento di superare le disparità di trattamento evidenziate e di colmare le lacune descritte, mediante l'introduzione di una disposizione aggiuntiva alla citata legge-quadro sull'assistenza n. 104 del 1992, l'articolo 33-bis, allo scopo di estendere i benefìci di cui all'articolo 4, comma 4-bis, della legge n. 53 del 2000, anche al coniuge e al familiare convivente (ad esempio
 

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il figlio) di persona gravemente disabile.
      La modifica normativa proposta mira a favorire, attraverso una scelta tra i possibili beneficiari del congedo, chi, nel caso concreto, possa meglio assistere il proprio familiare. Infatti, sembra poco opportuno che si esautori per due anni dal lavoro un parente di secondo grado (fratello o sorella), con un proprio e ulteriore nucleo familiare, quando l'assistenza potrebbe meglio essere prestata dal coniuge o dal figlio convivente. In molti casi, poi, è il solo coniuge o il figlio a dover assistere in modo esclusivo la persona che versa in stato di grave e permanente disabilità.
      Per questi motivi, mediante una modifica alla legislazione vigente, si intende superare una previsione incompleta e per alcuni versi iniqua, con l'intento di promuovere, in attesa di un intervento complessivo in materia, una piccola ma necessaria conquista di civiltà.
 

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